L’incontro Fischer/Spassky, confronto finale per il titolo mondiale del 1972, può senza meno considerarsi l’evento che ha determinato, a livello mondiale, il passaggio del gioco degli scacchi da attività sportiva, o anche passatempo (quasi iniziatico o criptico), comunque elitari, a vero e proprio fenomeno di massa, seguito, praticato e diffuso a tutti i livelli della società. Giunto nell’acme del clima di guerra fredda est/ovest, con il geniale giocatore americano presentato come una sorta di cavaliere solitario, opposto ad un erede della scuola sovietica supportato e sostenuto dall’apparato statale e da un formidabile staff di “secondi”, l’incontro, passato alla storia come “la sfida del secolo”, contrapponeva due fortissimi giocatori, dallo stile di gioco brillante, ma caratterialmente agli antipodi. Calmo, misurato e signorile il sovietico, bizzarro, vulcanico e stravagante l’americano, le cui intemperanze (genuine, o, almeno in parte, intese a creare pressione psicologica sull’avversario) contribuirono ad aumentare a dismisura l’interesse dei mass media, sì ché al match, in Italia dedicò attenzione persino la RAI, riprendendo, se pur sporadicamente, qualche immagine dei giocatori e dando comunque puntuale notizia dei risultati dello scontro. In poche settimane crebbe a dismisura l’interesse per il gioco, divenuto quasi una mania, si moltiplicò la vendita di scacchiere, libri, persino orologi da torneo ed un po’ tutti si applicarono, nei tempi e luoghi più disparati (persino in spiaggia sotto l’ombrellone!) ad apprendere, se non altro, le regole base del gioco o ad approfondirne la conoscenza.
Qualcosa di simile è accaduto l’anno scorso, dopo quasi un cinquantennio dal match di Reykjavik, a seguito della miniserie televisiva di Netflix “La regina degli scacchi”.